Profughi ucraini: come declinare l’accoglienza diffusa.
La guerra in Ucraina ha di fatto creato il più grande esodo di profughi in Europa. Constatiamo che essi sono per la maggioranza, un flusso continuo di donne con bambini, ma anche preadolescenti e adolescenti. Dopo la prima accoglienza, che dovrà essere diffusa sui territori ed i primi interventi di sostegno economico, visto che queste donne sono fuggite raccogliendo quel poco che potevano portarsi dietro, è tempo di prendere in esame come sostenerle in una permanenza che sarà lunga.
Apprendimento della lingua e certificazione delle competenze, sono i primi interventi da mettere a sistema.
Per farlo, dobbiamo partire da chi sono e cosa possono fare queste giovani donne in larghissima parte con figli minori. I primi passi stanno andando nella direzione giusta: la direttiva 55/2001, applicata per la prima volta, concede immediatamente la possibilità di lavorare e andare a scuola, ed il decreto legge n. 21/2022 deroga al riconoscimento delle qualifiche professionali di medici e operatori sanitari ucraini. Queste donne hanno le caratteristiche di tante loro connazionali che si trovano nelle nostre città, impiegate nell’assistenza agli anziani, in coabitazione, con l’obiettivo di sostenere con le loro rimesse, figli e famiglie in Ucraina.
La caratteristica di essere madri con figli e quindi bisognosi di cura ed accoglienza anche extrascolastica, pone la necessità, ove esse trovino lavoro, di sapere a chi affidare i propri figli. Stanno arrivando anche donne di classe media, munite di titoli di studio e competenze professionali, per le quali dovremmo prestare una specifica attenzione. Tutta la filiera della sanità e del socio sanitario, dove le competenze sono più certificabili hanno estrema necessità di manodopera, anche se rimane il problema della lingua. Si deve allora partire dalla conoscenza dell’italiano per l’occupabilità, che viene prima della occupazione.
Per le ODV che assieme alle scuole si attivano per impartire lezioni di italiano, va aggiunto che occorre creare gruppi di accompagnamento famiglie; tutor che favoriscano la pratica della lingua nella dimensione della vita quotidiana, nelle attività ricreative, trascorrendo tempo libero assieme, accelerando l’apprendimento della lingua al fine di promuovere l’occupabilità.
Altro intervento necessario è quello di sostenere ed incoraggiare le donne ucraine ad auto-organizzarsi. Le forme di aiuto interne alla comunità e le organizzazioni del III settore, possono contribuire mettendo a disposizione i loro spazi, quali i Circoli Acli ma anche spazi parrocchiali, affiancando le figure dei nonni sociali.
Tutte le persone che fuggono da guerre, secondo l’Onu dichiarano di voler tornare nelle loro case al più presto, ma i dati ci dimostrano che ci vogliono decenni, dovremo pertanto aspettarci una permanenza non breve e in alcuni casi anche il ricongiungimento familiare del coniuge, visto i tempi della ricostruzione dopo una guerra che non ha risparmiato neanche le abitazioni.
Infine occorre pensare a come riuscire a collocare al lavoro e non sprecare le competenze ed i talenti di una fascia di donne profughe molto capaci in settori quali la musica, il teatro, la danza, ma anche donne laureate in matematica, insegnanti, manager d’azienda, alle quali vorremmo offrire un lavoro simile. La certificazione delle competenze in Italia non ha mai funzionato; esso è uno dei nostri grandi problemi nella gestione della immigrazione, e provoca spreco di capitale umano. Facciamo fatica a riconoscere i titoli di studio. Occorre con urgenza che i centri per l’impiego vengano attrezzati e rinforzati. E’ necessario allora un maggior coinvolgimento delle imprese, al di là di tanti singoli imprenditori che manifestano attenzione e solidarietà, ed una lucida visione degli obiettivi da parte di chi ha compiti di governo politico.
Membro del direttivo nazionale ACLI Maurizio Tomassini