Il 22 settembre è stato celebrato il “Fertility day”, i cui obiettivi dichiarati sono, tra gli altri, anche quelli di far prendere coscienza del pericolo della denatalità in Italia e di enfatizzare la bellezza della maternità e paternità. Vediamo però che nella realtà le lavoratrici, in vista della nascita di un figlio, devono necessariamente affrontare una serie di difficoltà nel conciliare la professione e le esigenze della familiari, in particolare la cura dei bambini.
Innanzitutto è sotto gli occhi di tutti che la struttura delle famiglie ha subito una controtendenza rispetto a quella che ci hanno trasmesso i nostri nonni, ma anche il nucleo familiare classico, costituito da una coppia di figli, nell’ultimo decennio ha subito una lieve flessione. Su 11 milioni di soggetti (genitori tra i 25 e i 49 anni), quasi la metà ha due figli, il 42% ne ha uno, ed il 10% ne ha tre o più. Si parla quindi, di nuclei familiari ridotti a pochi componenti, frammentati e socialmente isolati.
Un altro dato che dovrebbe farci riflettere è quello che conta il 56% delle madri occupate contro l’87% dei padri; di conseguenza capiamo che vi è una buona fetta di madri che risulta inattiva, ovvero che non cercano un’occupazione a causa della presenza dei figli, in gran parte minorenni.
Un grosso aiuto alle madri spesso è rappresentato dai nonni, ma l’innalzamento dell’età pensionabile potrebbe rendere sempre meno disponibili i nonni a supplire alla carenza dei servizi per l’infanzia ed al loro costo.
Un altro importante fattore incide sul tasso di occupazione femminile, quello del costo del lavoro domestico e per la cura dei figli. Normalmente questo è svolto gratuitamente dalle madri ma dovrebbe essere pagato nel caso in cui la donna decidesse di lavorare. Sarebbe utile, pertanto, ridurre il costo dei servizi di cura per l’infanzia attraverso agevolazioni fiscali e con misure più ampie di welfare aziendale.